TRAMONTO
D'AUTUNNO DALLA TORRE DI SAN GIOVANNI
Marina
di Campo 26.10.2005. Immerso nel verde e nell’atmosfera serena
d’autunno sto camminando. Ho appena lasciato Sant’Ilario, paese natale
di Giuseppe Pietri. Ho ascoltato la sua musica in casa di un amico e sento
ancora le armonie dell’opera “Acqua cheta”. Che melodie splendide!
Vedo Sandro Giffoni ritornare dal lavoro in montagna. Cammino verso San
Piero, dopo aver fiancheggiato la casa di Ida, figlia di Luigi Nelli detto
Babbalù, personaggio simpatico e popolare
del dopoguerra. La natura è meravigliosa. Piante di corbezzolo e lentisco
fiancheggiano la strada. E’ l’ora del tramonto. La cima delle
Calanche, frastagliata, si stacca su uno sfondo rosso purpureo mentre sul
mare delle nubi si tingono di rosa.
Prendo
la strada a destra, verso Monte Perone e mi fermo poco dopo. L’ambiente
mi affascina. La Torre di San Giovanni si erge su un masso granitico. Ha
visto secoli di storia con avvenimenti drammatici e festosi, periodi di
guerra e di pace. Costruita attorno all’anno Mille, per avvistamenti e
segnalazioni, vive ancora la sua grandiosità. Mostra ancora la sua
bellezza architettonica. Silenziosa, ci parla del suo passato, protetta
dagli agenti del Corpo Forestale che controllano il bosco che la circonda.
Cullato da questi pensieri, rivolgo lo sguardo verso il piano. Mi immergo
nell’ampio panorama.
Ricordo
le parole del Capitano G. Carpinacci nel suo libro del 1901: “La
campanella di San Mamiliano suona l’Ave Maria. Da Sant’Ilario, da San
Piero, dalla Chiesina degli Alzi, dalla marina, da tutta l’isola bella
risponde il coro mistico pel monte e pel mare, e giù pel piano e nei
valloni e dalle spiagge sale la voce della preghiera di Dio… Oggi
lasciamo la dolce marina: le casette linde nel macchione verde dormono
ancora nella nebbia del piano di Campo. E una voce arcana
ci viene dalle onde, e le onde sussurrano, gorgogliano, saltellano,
si accavallano, danzano nello spazio, nel vento, allegre della vita, del
moto. Furono destate; anche il vigneto verde agita i pampini alla brezza
mattinale, e la cima di Tambone è avvolta in un nembo di viola. Su,
su…sento i colpi del bottaio, auspici alle vendemmie opime…Vedo il
fumacchio della pece del carpentiere che prepara al viaggio la nave…quel
lampo è del piccone che incide il solco nella terra feconda...”
Incantato
dalle parole, guardo il borgo antico di Campo con il porticciolo
sovrastato dalla Torre Pisana e poi il paese lungo la spiaggia , verso la
pianura e le colline. Tutto appare eguale ma anche diverso dalla
descrizione del Carpinacci. Si vedono e si odono i segni della
trasformazione nel tempo. Rimane la bellezza del paesaggio con l’armonia
delle linee.
Sulla destra si
presenta il Formicaio e quindi, coperte, due valli sempreverdi, Valle
Allora e Valle Orzaio, sotto cui sta la Piastraia, nome che deriva dalla piastre di
colombino. Procedendo si
arriva a Colle Palombaia e percorrendo la strada provinciale verso
l’alto, si arriva alle Caviere dove operavano importanti cave di
granito, vanto di San Piero. Per centinaia di anni nella zona bassa, a
Ciampone, i contadini hanno coltivato i campi e fatto la legna nelle
colline vicine. In questa zona fu costruita nell’anteguerra, dalla
signora Zenobia, la
“Palazzina”, prima villa di campagna, abitata nel dopoguerra dalla
famiglia Zecchini. La zona è ora cosparsa di nuove ville e di belle case
contadine , circondate da giardini e da orti.
La
striscia centrale copre un’ampia zona piana che si allunga fino a sotto
San Piero. Inizia con lo Stagno, area spesso allagata in inverno, spazia
fino alle Fornaci, per arrivare al Pozzo al Moro, nome da leggenda e
mistero. Poi si trova Lentisco e quindi gli Alzi e gli Aiali, dove si
trovano due vecchie romantiche chiesine.
Infine ai piedi della collina sotto San Piero, ci sono Castiglione
e la Grotta. Qui c’era una sorgente ed oggi una fontina. Probabilmente
nel lontano passato i
naviganti, romani, saraceni e pirati venivano a rifornirsi d’acqua.
Nella zona, sta nascendo un nuovo centro abitato con attività
commerciali. Sono rari i campi coltivati a grano, a granturco, a
trifoglio, a erba medica, a ortaggi e soprattutto i vigneti, vanto dei
contadini campesi del tempo, per la maggior parte di origine sampierese.
Sulla
sinistra c’è una collina, un tempo coltivata con vigneti a terrazze,
che copre l’antico abitato di San Mamiliano, dove si trova la vecchia chiesetta,
restaurata nel 1950 e riconsacrata il 13 settembre 1960. Nei secoli
passati i monaci vi si fermavano per i giorni, in attesa del miglior
tempo, per poter attraversare il mare e raggiungere il Monastero
dell’isola di Montecristo. Prendendo la strada provinciale e superato il
ponte sul fosso del Bovalico, si trova la vallata del Pian di Mezzo.
Appaiono splendidi terreni
che salgono verso il monte. Inizia con il Borandasco e la Martinaccia.
Passando fra giardini e vecchi oliveti, si fiancheggiano casali e ville,
per arrivare dapprima alla Lammia poi alla Chiesina di Santa Trinita.
Nella zona ci sono alcuni vecchi mulini inattivi, che lavoravano con
l’acqua del fosso di San Francesco. Più su c’è la zona di Maestà
Zucchino. Infine, presso la Chiesina dell’Accolta, si trovano molti
“trovanti” (grossi massi) di granito che venivano lavorati da
scalpellini santilariesi. Sotto Sant’Ilario, ai Forcioni, che guardano
zona Salicastri, si trovavano delle piccole cave appartenute ai fratelli
Politi e alla famiglia Tesei.
Percorrendo
la strada provinciale si passa per La Serra , Sighello e Costa al Barcoco,
dove c’è lo Stadio Comunale. Successivamente, dietro basse colline,
c’è la Pila e quindi la Chiesina di Santa Lucia, situata su una
collina. Si ricordano i festeggiamenti del 13 dicembre, con la gioiosa
fiera e la musica suonata da santilariesi. Da Campo, si partecipava
facendo lunghe passeggiate a piedi e portando fiori, corolli e frangette.
Dietro la chiesina, si trovano i Capannili, dove si è sviluppata
un’area industriale. Più avanti ci sono le Vigne Giunche e quindi le
Solane con i Marmi.
La
penombra della sera, che avanza lentamente sfumando linee e colori,
avvolge sempre più il sottomonte.
In lontananza,
verso La Foce, il sole ancora riflette la sua luce. Il paesaggio si
presenta nella sua serena bellezza. Tutta la spiaggia è vuota e
silenziosa: non ci sono più i
turisti del pomeriggio. Gli ombrelloni sono chiusi dopo una giornata di
sole. Non si vede il lungomare ma si intravede Villa Nomellini, fatta
costruire verso il 1930 dal pittore campese Plinio Nomellini, che amò
ospitare personalità illustri
dell’epoca. Procedendo si arriva alla bella pineta, voluta
nell’anteguerra dall’ingegnere Camillo Gentini. Dove c’era un ampio
stagno passa ora un lungo viale, che fiancheggia la pineta,
con alberghi che arrivano fino ai piedi della collina di fronte. A
Segagnana, dove c’è la strada che proseguendo lungo la costa porta a
Lacona, c’erano le vigne appartenute ai Pugginchi. Ora sulle colline
domina la macchia mediterranea e c’è anche un albergo. A sinistra vi
sono la Bonalaccia e Filetto. Dove nel passato c’erano
vigneti che producevano buon vino, ora si vedono abitazioni e
villette. Nella pianura di fronte c’è l’aeroporto, che si distende
fra i fossi della Pila e della Galea.
Il
paesaggio, con le sue trasformazioni, appaga ancora
l’animo. Ritornano in mente scene di sapore antico.
In
primavera si lavorava nei campi cantando “O campagnola bella, tu sei la
reginella ...” In estate, dopo la mietitura del grano, i contadini
ballavano nelle aie. Nei giorni della vendemmia l’isola d’Elba viveva
allegramente la Festa dell’Uva di Portoferraio, a cui partecipavano
carri campesi con ragazze festose e tini colmi di uva. Nelle sere
d’inverno i contadini si riunivano in case amiche, col camino acceso,
parlando della giornata trascorsa e raccontando storie antiche.
Personaggi
passati e recenti ritornano nei miei pensieri.
Verso il 1935
il generale Fabio Mibelli, proprietario di vigneti in Galenzana e nel
piano di Campo, fondò una Cantina per produrre vino, ma non poté
iniziare l’attività per
l’arrivo della guerra. Negli anni 1930-40, Giuseppe Retali detto
Gambautte, proprietario terriero degli Alzi e bravo contadino, coltivò
vigneti producendo fino a 400 ettolitri all’anno
di vino pregiato. Aveva anche cave di caolino alle Caviere. Subito
dopo lo sbarco delle truppe coloniali francesi del 17 giugno 1944, nella
zona dello Stagno dietro i Macchioni fu allestito un “campo di
concentramento leggero” per prigionieri. Raccolse anche munizioni
inesplose. Oreste Tesei e Cesare Dini, manipolando munizioni leggere,
ebbero degli incidenti alle mani e alla faccia. Nell’anteguerra, sopra
La Foce, dove ora vi sono dei villini, c’erano i recinti con pecore e
capre di Stefano Montauti detto Giacaino, nonno di Stefano Dini. Da
ragazzo Stefano ha fatto il pastore e ricorda ancora quei tempi del
dopoguerra. Nello stesso periodo si incontravano le Morine, due vecchiette
che abitavano alla Bonalaccia: erano le sorelle Vittoria e Mariuccia
Mazzei. Avevano anche una sorella, Ida, e un fratello chiamato Pallino.
Vittoria appariva stravagante e arguta come appartenente al mondo delle
favole. Vestiva in modo
tradizionale, in nero e marrone. Aveva
una capretta a cui si rivolgeva con “Ella”
e a cui parlava con amore. Alla Piastraia è vissuto Giuseppe Mibelli
detto Peppino di Paolotto. Partigiano,
emigrò dopo la guerra in Australia dove fece il tagliatore di
canna da zucchero. Ritornò disilluso. Dopo la morte gli fu assegnata la
medaglia di bronzo al valor militare. Nel 1950-60, Giuseppe Segnini, detto
il soldatino, ha lavorato per la famiglia De Vito in Galenzana e per la
signora Zenobia a Prato Arighetto. Parlava con arguzia e si muoveva, col
suo somaro, a ritmi lenti. Suo fratello Francesco ha lavorato nei campi
per anni, producendo ortaggi, frutta e buon vino. Nel dopoguerra, Ilvo e
Marco del Signore, padre e figlio, dipingevano splendidi paesaggi ed
angoli caratteristici campesi. E poi altri personaggi vengono in mente con
i soprannomi dati con ironia: Cerboncino, Gattonerino, Chiodino, Duca,
Cipollino, Sciacquaio, Dino di Picciotto, Chiuroli, Pestiferino,
Cardellino, Barilotto, Arcione, Baffino, Tagliola, Cesaraccio, Resisti,
Nicolaccia, Zuccobigio, Batoni e i Piovanini.
Ritorno col
pensiero al presente e il mio sguardo si posa nel piano e sulle colline.
Sono quasi
spariti i campi coltivati e i terrazzamenti. Nuove costruzioni si sono
diffuse. Oggi molte cave di granito hanno chiuso. Non vedo scalpellini
ritornare alle case dalle cave di Italo Bontempelli mentre la Cooperativa
Corridoni svolge ancora la sua attività. Non viaggiano
i barrocci con sacchi di carbone e legna o i vecchi camion di
Giuseppe Balestrini e di Riccardo Spinetti detto il Sottomarino,
che trasportano il granito. Non vedo pastori che ritornano
all’ovile con i greggi. Non odo campane suonare, con suono squillante.
Non vedo carbonai e cestai ritornare a casa. Non risuonano i passi dei
somari appesantiti da tini. Non sento le chiacchiere delle contadine che
portano sulla testa cesti di canne con cestini di felci, contenenti
ricotta fresca. Manca l’odore delle marmellate di mele cotogne.
Mi rimetto in
cammino per San Piero fra fiori selvatici e col profumo del Rosmarino. Si
sta facendo buio.
Incrocio
un gruppo di giovanotti che corrono in bicicletta verso Sant’Ilario.
Proseguo e incontro delle ragazze che stanno guardando le prime luci che
si accendono nel piano. Squilla un telefonino ed inizia una dolce
conversazione. Si alza la leggera brezza della sera. Oltre le prime case
di San Piero si sentono parole di ragazzi e ritmi di musica rock. Mi fermo
e ascolto mentre m’inebria il profumo della buona cucina. Vorrei
salutare Mauro Galli detto Spaghetto, ma si è fatto tardi. Nella
piazzetta dei bambini giocano ... gridano, corrono, cadono, si rialzano.
E’ socchiusa la porta di un magazzino, usato decenni prima, per tenere
al sicuro erpici, sarchiatrici, aratri. Passo davanti alla scritta “Mago
Chiò”, nome da leggenda e di mistero. Scendo da scale di granito e
intravedo il campanile della chiesa. Due fidanzati passeggiano mano nella
mano sognando nuovi orizzonti mentre si sente il rumore di un aereo che
s’innalza verso confini più aperti. La vita si rinnova e continua con
profumi, sapori, illusioni, sogni, sentimenti e passioni di sempre.
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Raffaele
Sandolo
elbasun@infol.it